mercoledì 27 gennaio 2010

Quel pugno a Jimmy

(Dal sito www.cittanuova.it)

Ognuno di noi può fare qualcosa per disinnescare la miccia del razzismo. L’esperienza di una lettrice.

Sono alla stazione di Milano, con il cuore colmo di gioia: arriva la mia nipotina di 11 anni. Passiamo un attimo dai bagni della stazione con entrate elettroniche che si aprono tramite inserimento di una moneta, inservienti uomini e donne a controllare. Mentre aspetto, si fa avanti un ragazzo di colore più o meno della mia età, un habitué della stazione. Soldi alla mano, tenta di inserirli per entrare in bagno, ma uno degli inservienti lo blocca, lo strattona, intimandogli di andar via. Spinto fuori, in una specie di italiano comincia a dire: «No razzismo», ripetendolo più volte.
Chiedo agli inservienti perché non lo facciano entrare; mi rispondono che fanno un lavoro pericoloso dal punto di vista della sicurezza e che sono stufi di quella gente. Il ragazzo continua a ripetere: «No razzismo», finché l’inserviente gli molla un pugno sulle labbra. Una smorfia di dolore: «Perché mi fai questo?». Resto sbigottita, mi sento come se quel pugno l’avesse dato a me, avverto il dolore della dignità schiacciata, di una persona indifesa sopraffatta.
L’inserviente chiama la guardia privata preposta alla sicurezza e dichiara dinanzi a tutti di essere stato aggredito dal ragazzo. I suoi colleghi, uomini e donne, confermano. La guardia di vigilanza fa per allontanare il ragazzo di colore: «Jimmy – dice –, io ti conosco, non hai mai disturbato nessuno qui in stazione. Dimmi cosa è successo, altrimenti sarò costretto ad arrestarti».
Non dimenticherò mai lo sguardo di Jimmy, smarrito, alla ricerca di qualcuno che potesse confermare la verità. A quel punto, mi avvicino: «Non è andata così!». D’improvviso gli sguardi cattivi degli inservienti sono tutti su di me, ma non ho paura, devo rispondere alla sete di giustizia di Jimmy.
La guardia sorride e mi chiede se voglio confermarlo dinanzi alla polizia. Rispondo di sì e vengo scortata con Jimmy a deporre alla polizia, la quale poi scende nei bagni per interrogare gli altri. Nel frattempo, Jimmy mi chiede chi sono e perché l’ho fatto. «Ti ho difeso perché sono cristiana, e anche tu sei un figlio di Dio!». Il tumulto del mio cuore si rasserena nel «grazie» di Jimmy.
La guardia mi sorride di nuovo. Jimmy sceglie di non sporgere denuncia per non creare problemi a nessuno, dicendo che gli basta essere creduto. Non ho più rivisto Jimmy. I poliziotti mi hanno riferito che sta bene. Ho rivisto invece gli inservienti e ho pregato per loro.

Sara Pasquariello

martedì 19 gennaio 2010

Storie

In fondo, la medicina non può consolare, ma aiuta a raccontare la storia definitiva di una vita. Sapere come una persona è morta rende più facile ricordare come è vissuta. E una volta che la medicina ha finito di fare quanto può, sono le storie quello che vogliamo e, da ultimo, tutto quello che abbiamo.

(Dal libro "Ogni paziente racconta la sua storia" di Lisa Sanders)

giovedì 7 gennaio 2010

lunedì 4 gennaio 2010

Tutto vero...

Scena 1 (raccontata da Saverio)

Luogo: Basilica di S. Maria degli Angeli - Assisi

Pia donna di 60 anni circa: "Mi scusi, ma San Francesco... era francescano?"
Frate attonito: "..."
Donna: "..."
Frate (piuttosto sconvolto): "Sì"
Donna: "Ah! Francescano come Padre Pio?"
Frate (rassegnato): "Sì signora, proprio come Padre Pio?"

Scena 2 (di cui sono testimone oculare)

Luogo: Chiesa di Madonna della Rovere, di fronte al dipinto della conversione di S. Paolo (Caravaggio) - Roma

Signora francese (parlando con l'amica): "Ma questo che cade da cavallo è San Paolo... come mai il quadro si chiama 'conversione di Saulo'? Sarà un errore di ortografia?"
Signore che interviene saccente: "Sì signora, è sicuramente un errore: quello è San Paolo!"

Scena 3 (raccontata da Renato)

Luogo: all'uscita della metropolitana di fronte al Colosseo - Roma

Signora sui 70 anni: "Certo che sono stati intelligenti a costruire il Colosseo proprio di fronte all'uscita della metropolitana!"