domenica 21 dicembre 2008

È Dio e mi assomiglia

Siccome oggi è Natale, avete il diritto di esigere che vi si mostri il presepe. Eccolo. Ecco la Vergine ed ecco Giuseppe ed ecco il bambino Gesù. L'artista ha messo tutto il suo amore in questo disegno ma voi lo troverete forse un po' naïf. Guardate, i personaggi hanno ornamenti belli, ma sono rigidi: si direbbero delle marionette. Non erano certamente così. Se foste come me, che ho gli occhi chiusi... Ma ascoltate: non avete che da chiudere gli occhi per sentirmi e vi dirò come li vedo dentro di me.

La Vergine è pallida e guarda il bambino. Ciò che bisognerebbe dipingere sul suo viso è uno stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano. Poiché il Cristo è il suo bambino, la carne della sua carne, e il frutto del suo ventre. L'ha portato nove mesi e gli darà il seno e il suo latte diventerà il sangue di Dio. E in certi momenti, la tentazione è così forte che dimentica che è Dio. Lo stringe tra le sue braccia e dice: piccolo mio!

Ma in altri momenti, rimane interdetta e pensa: Dio è là e si sente presa da un orrore religioso per questo Dio muto, per questo bambino terrificante. Poiché tutte le madri sono così attratte a momenti davanti a questo frammento ribelle della loro carne che è il loro bambino e si sentono in esilio davanti a questa nuova vita che è stata fatta con la loro vita e che popolano di pensieri estranei. Ma nessun bambino è stato più crudelmente e più rapidamente strappato a sua madre poiché egli è Dio ed è oltre tutto ciò che lei può immaginare. Ed è una dura prova per una madre aver vergogna di sé e della sua condizione umana
davanti a suo figlio.

Ma penso che ci sono anche altri momenti, rapidi e difficili, in cui sente nello stesso tempo che il Cristo è suo figlio, il suo piccolo, e che è Dio. Lo guarda e pensa: «Questo Dio è mio figlio. Questa carne divina è la mia carne. È fatta di me, ha i miei occhi e questa forma della sua bocca è la forma della mia. Mi rassomiglia. È Dio e mi assomiglia. E nessuna donna ha avuto dalla sorte il suo Dio per lei sola. Un Dio piccolo che si può prendere nelle braccia e coprire di baci, un Dio caldo che sorride e respira, un Dio che si può toccare e che vive. Ed è in quei momenti che dipingerei Maria, se fossi pittore, e cercherei di rendere l'espressione di tenera audacia e di timidezza con cui protende il dito per toccare la dolce piccola pelle di questo bambino-Dio di cui sente sulle ginocchia il peso tiepido e che le sorride. Questo è tutto su Gesù e sulla Vergine Maria.

Jean-Paul Sartre

venerdì 26 settembre 2008

La genesi



Volevo scrivere il testo, ma come si fa?!

Buon divertimento

Paolo

lunedì 18 agosto 2008

venerdì 4 luglio 2008

Ah...Cyrano...

...

LE BRET (tornando indietro desolato, alza le braccia al cielo): Bravo!... Bell'affare!...

CIRANO: Ecco che ricominci!

LE BRET: Ti renderai conto che con questa smania di respingere qualsiasi buona occasione adesso cominci a esagerare.

CIRANO: Eh sì! Esagero.

LE BRET: Meno male che lo ammetti.

CIRANO: Ma in linea di principio, per quanto mi riguarda, mi sembra che sia bene esagerare.

LE BRET: Se tu provassi a mettere un po' da parte questo tuo animo da moschettiere, Cirano, il successo e gli onori ti...

CIRANO: E che dovrei fare? Cercarmi un protettore? Trovarmi un padrone? Arrampicarmi oscuramente, con astuzia, come l'edera che lecca la scorza del tronco cui si avvinghia, invece di salire con la forza?
No, grazie.
Dedicare versi ai ricchi come qualsiasi opportunista? Fare il buffone nella speranza vile di vedere spuntare sulle labbra di un ministro un sorriso che non sia minaccioso?
No, grazie.
Mandar giù rospi tutti i giorni? Logorarmi lo stomaco? Sbucciarmi le ginocchia per il troppo genuflettermi? Specializzarmi nel piegare la schiena?
No, grazie.
Accarezzare la capra con una mano e annaffiare il cavolo con l'altra? Avere sempre a portata di mano il turibolo dell'incenso in attesa di potenti da compiacere?
No, grazie.
Progredire di girone in girone, diventare un piccolo grande uomo da salotto, navigare avendo per remi madrigali e per vele sospiri di vecchie signore?
No, grazie.
Farmi pubblicare dei versi a pagamento dall'editore Sercy?
No, grazie.
Farmi eleggere papa da un concilio di dementi in una bettola?
No, grazie.
Affaticarmi per farmi un nome con un sonetto invece di scriverne degli altri?
No, grazie.
Trovare intelligente un imbecille? Essere angosciato dai giornali e vivere nella speranza di vedere il mio nome apparire sulle riviste letterarie?
No, grazie.
Vivere di calcolo, ansia, paura? Anteporre i doveri mondani alla poesia, scrivere suppliche, farmi presentare?
No, grazie. Grazie, grazie, grazie, no!
Ma invece... cantare, ridere, sognare, essere indipendente, libero, guardare in faccia la gente e parlare come mi pare, mettermi - se ne ho voglia - il cappello di traverso, battermi per un sì per un no o fare un verso!
Lavorare senza curarsi della gloria e della fortuna alla cronaca di un viaggio cui si pensa da tempo, magari nella luna!
Non scrivere mai nulla che non sia nato davvero dentro di te!
Appagarsi soltanto dei frutti, dei fiori e delle foglie che si sono colte nel proprio giardino con le proprie stesse mani!
Poi, se per caso ti arriva anche il successo, non dovere nulla a Cesare, prendere tutto il merito per te solo e, disprezzando l'edera, salire - anche senza essere né una quercia né un tiglio- salire, magari poco, ma salire da solo!

LE BRET: Da solo, d'accordo! Ma non contro tutti! Si può sapere come diavolo t'ha preso questa mania sfrenata di farti sempre e dovunque dei nemici?

CIRANO: A forza di vedere gli altri smaniare per farsi degli amici e scambiarsi sorrisi che fanno sembrare la bocca un culo di gallina.
Preferisco vedere diradarsi sulla mia strada i saluti della gente e poter dire ogni volta: ecco un nemico di più.

LE BRET: Che pazzia!

CIRANO: Sì, lo ammetto. E' il mio vizio. Mi piace non piacere. Adoro essere odiato. Sapessi, amico mio, come si cammina meglio sotto il fuoco eccitante degli sguardi ostili! Che macchie piacevoli ti lasciano addosso il fiele degli invidiosi e la bava dei vigliacchi! La molle aura di amicizia di cui gli altri si circondano, invece, somiglia a quei vaghi paesaggi italiani, indefiniti, nella cui cornice ci si annienta. Certo, ci si sta comodi... ma ci si lascia andare. Per me è diverso: l'odio mi tiene vivo. Ogni nuovo nemico è un raggio. L'odio è una gogna ma anche un aureola.

...

(Da "Cyrano de Bergerac" di Edmond Rostand)

martedì 24 giugno 2008

Magnificat


Discover Mina!


Magnificat anima mea Magnificat
Dominum et exsultavit spiritus meus
in Deo salutari meo
Magnificat, Magnificat

Quia respexit humilitatem ancillae suae
ecce enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes

Magnificat anima mea Magnificat
Dominum et exsultavit spiritus meus
in Deo salutari meo
Magnificat, Magnificat

Quia fecit mihi magna qui potens est
et sanctum nomen eius

Magnificat, Magnificat
Dominum et exsultavit spiritus meus
in Deo
Magnificat, Magnificat

(dall'album "Dalla Terra" - Mina)

venerdì 6 giugno 2008

Dal Venezuela al Piemonte, insolita storia di affitti e migranti

“Affittasi trilocale solo a romeni”: è l’annuncio comparso su un portone in una via centrale di Asti; solo poche parole che in questi tempi di ‘allarme sicurezza’ bisogna leggere due volte per assicurasi di avere visto bene. A fare la scelta “controcorrente” è stato un uomo con senso civico e soprattutto dalla memoria lunga.
Roberto Argenta è uno psicologo di 56 anni, sposato con due figli, che lavora per l’Asl e più precisamente aiuta i tossicodipendenti a liberarsi dalla droga, ed è anche figlio di emigrati in Venezuela, dove è nato lui stesso. È a quella esperienza familiare che ha pensato quando ha visto la nazione in cui vive scivolare drammaticamente nella paranoia xenofoba. Argenta ricorda che suo padre, un muratore di San Marzanotto, in provincia di Asti, partì negli anni Cinquanta per il Venezuela, in cerca di lavoro, raggiunto poi dalla moglie con due bambini. “Allora in Sud America c’era un forte vena razzista contro gli italiani: ci definivano mafiosi e mangiaspaghetti, pizza e mandolino” ha detto il dottor Argenta al quotidiano ‘La Stampa’. “Mia madre mi raccontò che nelle città apparivano cartelli in spagnolo che avvertivano: si loca, ma non agli italiani”. Ma non è stata la discriminazione altrui che ha convinto Argenta a dare il buon esempio, piuttosto l’aiuto ricevuto. Stipati in quattro in una stanzetta, quando la madre rimase incita del terzo figlio, proprio Roberto, pensò di non potersi permettere di farlo nascere, ma il padre trovò lavoro presso un venezuelano che cercava un portiere per un palazzo, offriva quindi una casa insieme al lavoro e soprattutto non aveva problemi con gli italiani. La decisione di affittare solo a stranieri non è stata una provocazione, ha precisato il dottor Argenta, ma un modo per ricambiare la fiducia e opporsi a un clima di chiusura e pregiudizio che non si può condividere. Tra gli stranieri a cui ha affittato quei 70 quadri in centro – “sempre con regolare contratto per dare garanzie ad entrambi” precisa – l’inquilino più signorile è stato un rumeno che, prima di andarsene, ha ritinteggiato l’appartamento. Suo malgrado, perché il dottor Argenta è persona tanto concreta quanto riservata, la sua storia ha avuto anche la “consacrazione radiofonica nazionale” con un’intervista esclusiva di “Caterpillar”, una delle trasmissioni più briose e seguite di Radiodue, grazie alla quale quell’annuncio di poche righe sta diventando uno slogan contro la xenofobia.

da www.misna.org

sabato 29 marzo 2008

Quando la morte venne a Baghdad

II discepolo di un Sufi di Bagdad era seduto un giorno in un angolo di una locanda, quando sorprese una conversazione tra due persone. A sentirle parlare, capì che una di loro era l'Angelo della Morte.
"Ho molte visite da fare in questa città nelle prossime tre settimane", stava dicendo l'Angelo al suo compagno.
Terrorizzato, il discepolo si rannicchiò nel suo angolino finché i due non se ne furono andati. Poi fece appello a tutta la sua intelligenza per trovare il modo di scampare all'eventuale visita dell'Angelo, e alla fine decise di allontanarsi da Bagdad affinché la morte non potesse raggiungerlo. Dopo aver fatto questo ragionamento, non gli restava che noleggiare il cavallo più veloce e, spronandolo giorno e notte, arrivare fino alla lontana Samarcanda.
Nel frattempo la Morte si incontrò con il maestro sufi, col quale si intrattenne a parlare di varie persone. "Ma dov'è dunque quel vostro discepolo tal dei tali?", chiese la Morte.
"Dovrebbe trovarsi da qualche parte in città, immerso in contemplazione, forse in un caravanserraglio", rispose il maestro.
"È strano", disse l'Angelo, "perché è proprio nella mia lista ... Ah, ecco, guardate: devo prenderlo fra quattro settimane a Samarcanda, e in nessun altro luogo".

Fudail Ibn Ayad

venerdì 14 marzo 2008

Grazie!


- Come si immagina, che cosa si aspetta dal faccia a faccia con Dio?

Noi abbiamo una canzone che ha tradotto in musica un mio pensiero.
Dice così: "Quando sarò alla tua porta e tu mi chiederai il mio nome, io non ti dirò il mio nome ti dirò solo: Grazie per tutto e per sempre. Questo è il mio nome".
Questo è il nostro atteggiamento.
Noi non tiriamo fuori né meriti, né peccati.
Diciamo solo "grazie" e io lo posso dire con il Movimento che ho visto nascere.

(Dal libro "La dottrina spirituale" - Cittanuova)

giovedì 21 febbraio 2008

Cibo, allegria e canzoni

"Se un maggior numero di noi stimasse cibo, allegria e canzoni al di sopra dei tesori d'oro, questo sarebbe un mondo più lieto."

Thorin Scudodiquercia

(Dal libro "Lo hobbit" - J. R. R. Tolkien)

venerdì 25 gennaio 2008

Lacrime e perle

"Quella sera scrissi il mio primo racconto. Mi ci vollero trenta minuti. Era la storia di un uomo che aveva trovato una ciotola magica. Quando piangeva nella ciotola le sue lacrime si trasformavano in perle. Ma benché povero, era una persona felice, per cui piangeva raramente. Così doveva ideare dei metodi per rendersi infelice, affinché le sue lacrime lo rendessero ricco. A mano a mano che le perle andavano accumulandosi, la sua avidità cresceva. Il racconto finiva con l'uomo seduto su una montagna di perle con un coltello in mano, che piangeva disperatamente nella ciotola, tenendo tra le braccia il cadavere della sua amatissima moglie."

- Khaled Hosseini -
da "Il cacciatore di aquiloni"

mercoledì 2 gennaio 2008